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Microbiota: come incide la sua variazione nell’Alzheimer?
Il corpo umano è un insieme non solo di cellule eucariote e procariote, ma ospita e convive con un sistema organizzato di microorganismi. Le cellule microbiche non sono poi una popolazione così esigua se si pensa che superano di circa dieci volte il numero delle cellule che consideriamo “nostre”. Ma partiamo dalla parola microbiota, da cosa nasce?
Dall’unione di due parole greche micro cioè molto piccolo e biota che in ecologia è definito come l’insieme di tutti gli organismi che popolano un determinato luogo. Dopo decenni di lavoro e osservazioni in vivo, il mondo scientifico definisce il microbiota come un “insieme di microorganismi situati nei distretti del nostro corpo che interagiscono con il mondo esterno”. Sarà facile quindi comprendere che i distretti coinvolti saranno sicuramente la pelle, maggiormente esposta al mondo esterno, il sistema urogenitale (se pensiamo a livello vaginale), il sistema respiratorio che ha come veicolo l’aria ed infine quello su cui maggiormente ci si è concentrati l’apparato digerente (è qui che risiedono circa l’80% della totalità dei microorganismi del microbiota). Ad oggi quando si parla di batteri o microorganismi in genere, spesso lo si fa con una connotazione prettamente legata all’insorgenza di patologie o problematiche. Nel nostro organismo abitano infatti non solo microorganismi buoni, e quindi utili per il corpo, ma anche microrganismi che potrebbero portare all’insorgenza di problematiche più o meno gravi. Nell’elenco dei microorganismi sicuramente dannosi c’è ad esempio il Clostridium (Fig.1) che va a generare infezioni intestinali importanti. Ma ogni giorno nel nostro corpo ci sono altrettanti microrganismi che vanno a contrastare i patogeni, come ad esempio i lactobacilli o il Bifidus(Fig.1), di cui ormai anche noti marchi alimentari si avvalgono per arricchire i propri prodotti. Essendo una vera guerra tra le due categorie ovviamente i microorganismi “buoni” devono sempre essere di molto superiori rispetto ai “cattivi”. Come lo fanno? Se volessi pensare ad un esempio possiamo riferirci ai bacilli eubiotici che si riproducono, sfruttando quanto arriva nell’intestino, sottraendo cosi alimenti per germi magari patogeni, che non riescono a replicarsi in massa. È una selezione naturale, anche nel nostro corpo ogni giorno c’è la lotta per la sopravvivenza, e vince sempre il più forte [1].
Fig.1 Batteri buoni vs batteri cattivi
Quello che risulta interessante e di grande fermento nelle ultime ricerche scientifiche è il coinvolgimento del microbioma in tante patologie che affliggono il nostro millennio come le malattie neurodegenerative.
Microbioma e malattie neurodegenerative; come sono connessi?
Possiamo affermare, dalle tante evidenze scientifiche (qui ne abbiamo citate solo alcune) quindi che i batteri intestinali possono regolare il metabolismo dei d-aminoacidi nel cervello.
Inoltre le profonde modifiche dello stile di vita e dell’alimentazione nell’età adulta in cui si ha maggiore incidenza di queste malattie, comportano un fenomeno definito “disbiosi” che può essere riassunto in 5 cambiamenti sostanziali:
Cambiamenti dietetici
Vita in lungodegenza
Stato proinfiammatorio basale
Difficoltà di assorbimento intestinale
Difficoltà nella masticazione
Quindi sembra evidente che un cambiamento nella dieta ed una difficoltà maggiore di assorbimento intestinale in qualche modo vadano a interferire nel perfetto funzionamento di comunicazione nella linea ipofisi-intestino di cui parleremo più avanti. Le domande del mondo scientifico su cui si ha maggiore ricerca di risposte sono molteplici per esempio:
Come è connesso questo aspetto con la degenerazione?
Come è sfruttabile questa conoscenza al fine di poter agire con approcci terapeutici nuovi?
Partiamo da qualche definizione: dal JPND (EU JOINT Programme-Neurodegenerative Disease Research) si definiscono malattie neurodegenerative (MN) tutte quelle che coinvolgono i neuroni. Come è noto, queste cellule non sono in grado di riprodursi, quindi la gravità di queste patologie è proprio correlata ai danni irreversibili che si vengono a creare. Sempre da questa fonte poi si descrivono meglio le MN come “patologie debilitanti e non curabili, che provocano la degenerazione progressiva e/o la morte delle cellule nervose. Ne conseguono disturbi nel movimento (le cosiddette atassie) o nel funzionamento mentale (le cosiddette demenze)”.L’Alzheimer è sicuramente la patologia più presente nella popolazione, infatti rappresenta all’incirca il 60-70% dei casi di MN. La senescenza e la conseguente incapacità di riproduzione dei neuroni porta a due meccanismi biochimici differenti:
Le proteine motore della vita, iniziano ad essere “ripiegate” in modo erroneo (meccanismo definito “misfolded”) e si accumulano creando danni irreversibili. Le più coinvolte nei processi patologici sono: la proteina beta-amiloide (Aβ), l’alfa-sinucleina (α-sin) e la tau.
Aumento dei meccanismi di morte programmata o di apoptosi neuronale.
Fig.2 Meccanismi di disfunzione connessi all’Alzheimer
Questi due meccanismi ad oggi sono oggetto di tantissimi studi ed evidenze. Quello che si è visto è che ad esempio l’accumulo delle proteine “misfolded” sembra verificarsi non solo a livello cerebrale, ma anche nei tessuti periferici ed anche nell’intestino, ed è qui che si sottolinea come vi è una connessione bidirezionale tra il sistema neuronale ed il Microbioma. Su questo aspetto non ci soffermeremo, piuttosto è importante sottolineare come da questi studi si sia arrivati a capire che vi è un asse comunicativo ipofisi-surrene che non è a senso unico, come si è pensato per molti anni, ma è bidirezionale. Non a caso infatti ad oggi l’intestino essendo crocevia di elaborazione e integrazione di diverse informazioni neurali viene definito “sistema nervoso enterico”.
Quello su cui ci concentreremo invece è l’importanza del segnale glutammatergico veicolato da quest’asse, che è stato dimostrato essere capace di andare a interagire con i sistemi di regolazione di apoptosi e degenerazione neuronale. Una prima evidenza molto recente è lo studio condotto nel 2019 dal team di Baj[2] in cui si evidenzia come attraverso la fermentazione nell’intestino da parte di alcuni microorganismi (MOO) questi riescano a trasformare L-glutammato in D-glutammato con l’ausilio dell’enzima glutammato racemasi. Questo però cosa c’entra con il cervello e con il possibile coinvolgimento in processi degenerativi? Il D-glutammato, che viene sintetizzato da questi microorganismi poiché è un componente fondamentale del peptidoglicano dei batteri, in realtà è un importante substrato per la sintesi del GABA attraverso la decarbossilazione di un enzima specifico la glutammato decarbossilasi prodotta da tanti batteri sia Gram-positivi che Gram-negativi. Il GABA ha un ruolo fondamentale nel regolare veglia-sonno, importante poiché è il maggior inibitore dei neurotrasmettitori nel Sistema nervoso centrale, è target di farmaci antiansia e anticonvulsioni. Ha un ruolo molto delicato, proprio per questo deve essere sempre in perfetto equilibrio con il glutammato per una giusta funzionalità e stabilità neuronale (Fig.3).
Fig.3 GABA e glutammato
Altri studi come quello condotto dal team di Wang[3]sottolineano addirittura una connessione con questo metabolismo e il cambiamento del microbioma intestinale, infatti in questi soggetti c’è una minore abbondanza di ceppi di Campylobacter Jejuni, che va a tradursi con una minore concentrazione di acido fumarico (connesso con il metabolismo glutammatergico) nell’intestino di bambini affetti da autismo. Il metabolismo del glutammato quindi è una chiave importante di analisi. Sempre inerente a questo campo d’indagine c’è anche un secondo studio condotto su 35 pazienti dal team di Palomo-Buitrago [4], che ha dimostrato la forte connessione tra questo metabolismo e le funzioni cognitive, la regolazione dei cicli circadiani,la flessibilità mentale, per non parlare delle connessioni con l’obesità.
Ma tornando all’Alzheimer, cosa si sta facendo? C’è uno studio pilota che connette strettamente, l’aumento dei livelli di d-glutammato nel plasma con il deterioramento cognitivo neuronale causato dall’Alzheimer. La connessione è facilmente riassumibile nella figura 4.
Questo amminoacido è un importante regolatore del recettore NMDAR il quale ha un ruolo cruciale nella funzione sinaptica poiché è coinvolto nella regolazione di pathways di sopravvivenza neuronale. Da questo recettore in pratica dipendono le sorti del neurone, e l’attivazione di eventuali segnali contro l’apoptosi cellulare. Come è riportato dalla figura 4 se vi è un’eccessiva stimolazione di questo recettore, o al contrario un’esigua stimolazione il risultato è il medesimo, degenerazione e morte cellulare. Inoltre un’eccessiva produzione di D-Glutammato extracellulare è stato dimostrato essere neurotossica [5].
In questo come vanno ad interferire i microorganismi dell’intestino?
Molti moo attraverso l’enzima glutammato racemasi a sintetizzare tanto D-Glutammato che, grazie all’asse ipofisi-intestino andrà a interagire proprio con la regolazione del recettore alterandone la funzione.
Anche in questo caso come nella stimolazione del GABA uno squilibrio minimo comporta risultati catastrofici.
Fig.4 Glutammato e interazione con i sistemi di segnalazione neuronale
Oltre queste evidenze anche il team di Lin et alt [6] che ha coinvolto 144 pazienti a stadi differenti di Alzheimer, ha sottolineato la forte connessione tra i livelli plasmatici dell’amminoacido e il grado di severità di degenerazione neuronale presente nel paziente. Volendo concludere quindi queste evidenze ed i trials che si stanno conducendo risultano tutti suggerire la forte connessione del D-Glutammato, derivante dal processo di metabolizzazione dei moo del Microbiota intestinale, con la regolazione di segnali vitali per i neuroni che ne definiranno la degenerazione se non la morte. Sicuramente è un punto di partenza per andare ad intervenire sulle funzioni cognitive in demenze e MN.
Dott.ssa Chiara Pro
Bibliografia
S.Di Maio, F. Mereta. S. Di Maio, F. Mereta 2020; Gribaudo editori.
Baj, A.; Moro, E.; Bistoletti, M.; Orlandi, V.; Crema, F.; Giaroni, C. Glutamatergic Signaling Along The Microbiota-Gut-Brain Axis. Int. J. Mol. Sci. 2019, 20, 1482. [CrossRef]
Wang, M.;Wan, J.; Rong, H.; He, F.;Wang, H.; Zhou, J.; Cai, C.;Wang, Y.; Xu, R.; Yin, Z.; et al. Alterations in Gut Glutamate Metabolism Associated with Changes in Gut Microbiota Composition in Children with Autism Spectrum Disorder. mSystems 2019, 4. [CrossRef]
Palomo-Buitrago, M.E.; Sabater-Masdeu, M.; Moreno-Navarrete, J.M.; Caballano-Infantes, E.; Arnoriaga-Rodriguez, M.; Coll, C.; Ramio, L.; Palomino-Schatzlein, M.; Gutierrez-Carcedo, P.; Perez-Brocal, V.; et al. Glutamate interactions with obesity, insulin resistance, cognition and gut microbiota composition. Acta Diabetol. 2019, 56, 569–579. [CrossRef]
Wang,r;Reddy,P.H. Role of Glutamate and NMDA Receptors in Alzheimer’s Disease. J.Alzheimer’s Dis. Jad. 2017,57,1041-1048. [CrossRef]
Lin, C.H.; Yang,H.T. D-glutamate, D-serine, and D-alanine differ in their roles in cognitive decline in patients with Alzheimer’s disease or mild cognitive impairmente. Pharm. Biochem. Behav. 2019, 185, 172760. [CrossRef]
Dott.ssa Chiara Pro
Laureata presso l’Università di Milano Bicocca in Biotecnologie Industriali, Esperienza biennale in laboratori di ricerca di base nell’ambito della Biochimica tumorale. Master in Management dell’industria Farmaceutica e un corso di alta specializzazione in Ricerca Clinica. Attualmente mi occupo di consulenza scientifica per un’azienda.
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