Sostenibilità

Particolato atmosferico: modelli per l’identificazione delle sorgenti

DOSSIER

SULL’INQUINAMENTO DELL’ARIA DA PARTICOLATO ED ALTRE SOSTANZE VELENOSE PRODOTTE DALLE ATTIVITA’ AGRICOLE.

Particolato atmosferico: modelli per l’identificazione delle sorgenti

da ARPAT

Le caratteristiche fisiche e chimiche del PM determinano l’impatto che esso ha sull’ambiente e sulla salute umana e nello stesso tempo sono determinate dalla natura delle sorgenti emettitrici.

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Fra gli inquinanti presenti in atmosfera, il particolato (PM, particulate matter) riveste un ruolo di primo piano per l’impatto che può avere sulla salute e sull’ambiente, soprattutto a causa dei livelli relativamente elevati che ancora raggiunge in alcuni contesti. E’ quindi importante monitorarne la concentrazione, valutarne gli effetti e, soprattutto, identificare le principali sorgenti per poter pianificare efficaci strategie di miglioramento della qualità dell’aria. Va comunque detto che non si tratta di analisi semplici.

Il PM è infatti costituito da particelle di diversa dimensione, forma e composizione chimica, le quali possono essere prodotte da diverse sorgenti, sia naturali (polvere minerale, spray marino) che antropiche (traffico, emissioni industriali, riscaldamento, etc.), ed anche formarsi in atmosfera a partire da precursori gassosi (PM secondario).

Le caratteristiche fisiche e chimiche del PM determinano l’impatto che esso ha sull’ambiente e sulla salute umana e nello stesso tempo sono determinate dalla natura delle sorgenti emettitrici. Le particelle di particolato mantengono infatti caratteristiche specifiche della sorgente che le ha prodotte: le particelle generate dall’erosione del suolo sono caratterizzate dall’avere dimensioni maggiori del micron e dalla presenza di elementi tipici della crosta terrestre (Al, Si, Ca, Ti, …); quelle prodotte dalla combustione di biomasse hanno invece dimensioni submicrometriche e contengono composti del carbonio, sali di potassio ed altri elementi; le emissioni da traffico veicolare sono costituite da particelle molto piccole con elevato contenuto di carbonio elementare, etc. Sulla base di queste proprietà, è quindi chiaro che lo studio della composizione chimica del PM (anche in funzione della dimensione delle particelle) è fondamentale non solo per valutare l’impatto di questo inquinante sulla salute e sull’ambiente, ma anche per identificare le sorgenti che l’hanno prodotto e quantificarne il contributo. Per ottenere questi risultati, i dati ricavati dal campionamento e dall’analisi chimico-fisica di numerosi campioni di PM (raccolti in siti rappresentativi e su lunghi intervalli temporali) devono essere elaborati tramite opportune tecniche di analisi multivariata, dette “modelli a recettore”.

Mentre i modelli “orientati alla sorgente” calcolano le concentrazioni degli inquinanti in atmosfera a partire dalla meteorologia e dai dati noti sulle emissioni, i modelli “orientati al recettore” determinano il contributo delle sorgenti a partire dalle concentrazioni realmente misurate nel sito di campionamento (detto appunto sito “recettore”). La composizione del particolato campionato è considerata come una combinazione delle composizioni del particolato emesso dalle diverse sorgenti, con pesi che cambiano da campione a campione, per tener conto del diverso impatto che le sorgenti possono avere nel tempo. In altri termini, le concentrazioni misurate dei diversi elementi/composti sono interpretate come somma di diversi “fattori”, i cui “pesi/contributi” variano da campione a campione, mentre il loro “profilo chimico” viene mantenuto costante. Le informazioni note sulle sorgenti possono essere in alcuni casi inserite nel modello (per esempio è possibile imporre vincoli sul profilo chimico dei fattori) insieme ai dati misurati di composizione del PM. Il modello fornisce in uscita i profili ed i pesi dei diversi fattori: i primi consentono di interpretare i fattori in termini di reali sorgenti presenti sul territorio, i secondi permettono di determinarne l’impatto.


Si tratta in ogni caso di analisi complesse, per le quali sono stati sviluppati diversi modelli con più varianti, la cui applicazione richiede esperienza e competenze adeguate. Per questo motivo, il JRC (Joint Research Center), in collaborazione con le reti europee FAIRMODE e AQUILA, ha di recente pubblicato un rapporto tecnico per conto della Commissione Europea il cui scopo è proprio quello di fornire linee guida per l’utilizzo di modelli a recettore per l’identificazione delle sorgenti del PM e la quantificazione del loro contributo (http://source-apportionment.jrc.ec.europa.eu/Docu/EU_guide_on_SA.pdf).

Rapporto tecnico del JRC (Joint Research Center) sull’utilizzo dei modelli a recettore per l’identificazione delle sorgenti del PM e la quantificazione del loro contributo

 Il documento, che include tutorials, consigli tecnici e liste di controllo, è organizzato in tre sezioni: 1) introduzione ai modelli a recettore; 2) definizione di un protocollo armonizzato per l’esecuzione passo dopo passo dei principali modelli a recettore (Chemical Mass Balance e Positive Matrix Factorization); 3) descrizione di modelli innovativi avanzati. L’obiettivo principale è quello di diffondere e promuovere le migliori metodologie disponibili, ed armonizzare l’applicazione di queste metodologie in tutta Europa. L’utilizzo di protocolli armonizzati, che prevedano fra l’altro una chiara descrizione delle procedure adottate, può infatti contribuire al miglioramento della qualità, della trasparenza e della comparabilità dei risultati ottenuti, e quindi delle informazioni trasmesse alle autorità coinvolte nella gestione della qualità dell’aria.

In Toscana, questi modelli sono stati applicati nell’ambito dei progetti PATOS e PATOS2 dai gruppi di ricerca dei Dipartimenti di Chimica e di Fisica dell’Università di Firenze e dell’INFN-LABEC (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – Laboratorio di tecniche nucleari per l’Ambiente e i Beni Culturali). Per quanto riguarda il primo progetto, queste analisi hanno permesso di ottenere un quadro delle principali sorgenti del PM10 (polveri con diametro aerodinamico < 10 µm) in Toscana, in siti di diversa tipologia.

Il progetto PATOS2 ha invece permesso di determinare le sorgenti del PM2.5 (diametro aerodinamico < 2.5 µm) in due siti a Firenze (Bassi, urbana fondo e Gramsci, urbana traffico) ed in un sito a Livorno (periferica fondo). In particolare, a Firenze sono state identificate 7 sorgenti: il traffico veicolare, che, come atteso, dà un contributo molto importante nel sito di traffico (circa il 30%, contro l’8% a Bassi); la combustione di biomasse, caratterizzata da contributi elevati durante il periodo invernale (quando si hanno anche le concentrazioni più elevate di PM), che contribuisce in media per circa 4 µg/m3 in entrambi i siti; i nitrati secondari, prodotti dalla trasformazione in atmosfera degli ossidi di azoto (che sono a loro volta emessi nei processi di combustione, sia traffico che riscaldamento); i solfati secondari, prodotti dalla trasformazione in atmosfera del biossido di zolfo (a sua volta emesso da processi di combustione di combustibili fossili); la polvere minerale di origine naturale, trasportata da aree esterne al contesto urbano (inclusi episodi di intrusione sahariana); una sorgente crostale con profilo arricchito in alcuni elementi rispetto alla composizione del suolo “naturale”, probabilmente da associare ad un suolo di tipo urbano; l’aerosol marino, occasionalmente trasportato dalla costa.
Nel sito di Livorno è stata inoltre individuata una sorgente di combustione di olii pesanti, legata alle emissioni delle navi ed in generale alle attività portuali, composta prevalentemente da composti del carbonio e solfati, e caratterizzata dalla presenza di traccianti specifici quali il V e Ni.

Questi stessi metodi saranno applicati per determinare le sorgenti del PM10 a Montale (PT), dove è attualmente in corso una campagna di campionamento di durata annuale.

(*) Silvia Nava, ricercatrice presso l’INFN di Firenze e coautrice del Rapporto tecnico del JRC sui modelli a recettore, ha collaborato Antongiulio Barbaro