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QUANDO LA FISICA SI ALLEA CON LA BIOMEDICINA NELLA LOTTA CONTRO LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE
Pubblicato su Nature Communications il lavoro di un team interdisciplinare italiano che studia la cinetica di aggregazione delle proteine nei disordini neurologici (FENIB, Alzheimer, Parkinson, Huntington).
La lotta contro l’Alzheimer e le malattie neurodegenerative prosegue e la medicina trova una possibile formidabile alleata nella fisica. Nell’articolo “Protein accumulation in the endoplasmic reticulum as a non-equilibrium phase transition”, pubblicato venerdì 11 aprile dalla rivista americana Nature Communications, quattro scienziati italiani propongono i risultati di una collaborazione interdisciplinare tra Fondazione ISI, Università degli Studi di Milano e CNR.
“Il lavoro parte dallo studio dell’accumulo di proteine nel reticolo endoplasmatico”, spiegano dall’ISI, dal (CNR) e dal dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano. “È lì che vengono alla luce le prime tracce della malattia. Se la persona è sana – nello stato fisiologico e naturale – le proteine prodotte si degradano e vengono distribuite nell’organismo. Nella malattia l’accumulo prosegue invece in modo aberrante: le proteine vengono prodotte ma non riescono più a uscire. Ciò che è interessante è che questo processo avviene in modo analogo a una transizione di fase, come la trasformazione di un liquido in gas. Pensiamo a quando si passa dai 99,5 gradi ai 100 gradi nella temperatura dell’acqua: il cambiamento è piccolissimo, quasi impercettibile, eppure l’effetto è radicale. Da quel momento l’acqua passa dalla forma liquida a quella gassosa. Qualcosa del genere avviene nel reticolo, nella fase di transizione in cui le proteine non vengono più degradate e inizia l’accumulo aberrante”.
Studiando la cinetica di aggregazione di proteine attraverso la simulazione della diffusione di polimeri lineari, il gruppo di lavoro è riuscito a utilizzare con successo questo modello per descrivere dati sperimentali ottenuti in passato su altri pazienti. In particolare, sulla rimozione di beta-amiloide dal sistema nervoso centrale, permettendo di prevedere il comportamento atteso con la progressione del morbo di Alzheimer. “Si è svolto un lavoro particolarmente attento sull’Alzheimer”, “ma il nostro modello può essere utilizzato anche nello studio delle altre malattie degenerative che presentano processi comuni. La fisica in questo caso si affianca allo studio in vitro, offrendo nuove prospettive d’analisi sull’aggregazione e sul deposito di proteine in situazioni aberranti. È una innovazione importante, perché in futuro simili tecniche potrebbero offrire un decisivo contributo a livello diagnostico: individuando il momento in cui si arriva alla transizione di fase, si può sapere in anticipo quanto il paziente si sta avvicinando alla malattia e agire di conseguenza”.
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