Uno studio condotto dalla FAO mostra come lo spreco di cibo rappresenti oggi una realtà mondiale drammatica. Esso apre una finestra importante su un problema spesso ignorato e tralasciato dai più e sul quale si può intervenire .Basta semplicemente trasformare le eccedenze in risorse. “Bene comune” è la parola chiave sulla quale intervenire per descrivere l’indefinibile ricchezza che il cibo – così come l’acqua, l’aria, il sole – rappresenta per l’intera popolazione del pianeta, ma che oggi più che mai è
vittima di un modello produttivo che ne favorisce lo spreco. .
Infatti, stando ai dati sullo spreco di cibo nel mondo pubblicati qualche settimana fa dalla FAO (Food and Agricolture Organization), è ragionevole asserire che il cambiamento di mentalità deve prevedere un nuovo modello di approccio al consumo .Infatti circa un terzo degli alimenti destinati alla nostra nutrizione, vale a dire 1,3 milioni di tonnellate di cibo, passano ogni anno dalla nostra tavola alla pattumiera, malgrado siano ancora del tutto commestibili. Si stima, infatti, che un consumatore medio occidentale getti annualmente nella spazzatura all’incirca 115 chili di pasta, carne, formaggi e altre materie prime. In tutto questo, a vari livelli ,è verosimile affermare che esistono dei responsabili. Prime fra tute le politiche del MKT e la nostra distrazione a non voler assumere una mentalità diversa per una gestione più efficiente ed oculata verso il cibo già acquistato. Lo spreco alimentare e lo sperperio di risorse, ad oggi, riguardano sia i Paesi industrializzati del Nord del mondo sia quelli in via di sviluppo. Tenendo conto però di una sostanziale differenza. Nel Sud del mondo gran parte dei beni alimentari agricoli, ad esempio, si perdono o vanno distrutti nel corso dei lenti passaggi delle materie prime dai campi alla tavola, causati soprattutto dalle tecniche di coltivazione inefficienti e dai numerosi problemi dei servizi stradali e di trasporto.
Nei Paesi occidentali, invece, dove il tenore di vita è più alto, lo spreco di cibo si presenta come un vero e proprio tarlo della società, insinuatosi con molta prepotenza nelle sue abitudini.
I consumatori, sempre più influenzati dalle logiche del marketing dettate da un’economia malata, hanno fatto dello spreco un vero e proprio stile di vita, abituandosi sempre di più ad acquistare quantità di cibo in eccesso.
Come ricorda lo studio portato avanti dallaFAO, il valore pro-capite degli sprechi alimentari per consumatore in Europa e in Nord America si aggirerebbe tra i 95 e 115 kg l’anno, contro i 6 e gli 11 kg pro capite dell’Africa Sub-Sahariana e del Sud-Est Asiatico. Non resta che una via d’uscita. TRASFORMARE LE ECCEDENZE IN RISORSE !
A rispondere a questa domanda ci hanno pensato persino alcuni chef, italiani e non, che sul sito www.nonsprecare.it elargiscono consigli per riciclare il cibo avanzato senza farlo finire nella spazzatura. Un altro modo per evitare che il cibo in eccesso si trasformi in rifiuti è ricorrere ad organizzazioni che si occupano di beneficenza, come la Caritas e il Banco Alimentare.
Quest’ultima, nata negli anni ’80, è una Onlus che ha come obiettivo quello di recuperare le eccedenze alimentari e ridistribuirle ad altri enti caritativi. L’associazione provvede alla raccolta di eccedenze alimentari della produzione agricola, dell’industria alimentare, della grande distribuzione e della ristorazione organizzata e alla successiva ridistribuzione delle materie prime in eccesso ad enti che si occupano di assistenza ai poveri e agli emarginati. Quest’ultimo espediente, oltre a dimostrare la sana collaborazione che può sussistere tra enti diversi, potrebbe rappresentare un’efficace cura contro il peggior male che affligge la società contemporanea: l’indifferenza. Proprio per combattere l’indifferenza – soprattuto della classe politica- nei confronti dello spreco di cibo nel mondo, da Monaco di Baviera è partita una grande marcia la “Good Food March,” che ha attraversato l’Europa. Organizzata da contadini e giovani consumatori uniti con l’obiettivo di ottenere una Politica Agricola Comune (PAC). Si tratta di una delle politiche più importanti a sostegno del mercato unico europeo, volta ad indirizzare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva grazie all’introduzione di un prezzo di intervento – ossia una sorta di prezzo minimo sul mercato per garantire che l’offerta non superi la domanda – al di sotto del quale la Comunità interviene per stabilizzare il mercato, attraverso il ritiro dei prodotti in eccedenza o l’invio a Paesi bisognosi. .
VERSO UN LEGGE AGRICOLA EUROPEA – Politici, economisti e i rappresentanti di 80 organizzazioni di produttori del Sud del mondo, nel frattempo, hanno dato inizio ad una discussione sulle richieste da portare a Bruxelles per contribuire alla creazione di una Politica Agricola europea più giusta. Infatti, si avvicina l’inizio delle negoziazioni nell’arena europea sulla ratifica e la messa in opera entro il 2014 di una legge europea sull’agricoltura che andrà a toccare per primi i piccoli produttori. Si spera una volta per tutte di combattere l’azione irresponsabile di chi vi specula, introducendo anche nel settore alimentare le misure più giuste per il riciclo e il riutilizzo delle risorse.
Fonte:FAO
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